l’art. 574 ter c.p.il quale prevede che: a) agli effetti della legge penale e, pertanto, non con riguardo ai soli delitti contro la famiglia, “il termine matrimonio si intende riferito anche alla costituzione di un’unione civile tra persone dello stesso sesso”; b) “quando la legge penale considera la qualità di coniuge come elemento costitutivo o come circostanza aggravante di un reato essa si intende riferita anche alla parte di un’unione civile tra persone dello stesso sesso”.
Tale articolo, in riferimento al reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, determina l’estensione della fattispecie incriminatrice anche alle condotte che vengano poste in essere da una delle parti di un’unione civile ai danni dell’altra, proprio per effetto della piene equiparazione di questi ultimi ai coniugi.
Infine, se le unioni civili sono equiparate sul piano penale al matrimonio, lo stesso non è accaduto per le convivenze di fatto disciplinate dalla legge 76/2016.
Pertanto, in assenza di espresse previsioni del legislatore, non è possibile estendere ai conviventi di fatto la previsione dell’art. 570 bis c.p, tanto più che manca una norma che impone alle convivenze di fatto un generalizzato obbligo di assistenza e perciò non sarebbe stato possibile prevedere una sanzione di natura penale per l’eventuale mancata prestazione dei mezzi di sussistenza.
L’art. 1, comma 36, L.76/2016, infatti si limita a prevedere che si intendono per “conviventi di fatto” due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, ma tali legami costituiscono il frutto di una situazione in concreto sussistente senza che la sua conservazione sia garantita dalla previsione di un obbligo giuridico.