L’ex coniuge che ha percepito l’una tantum può chiedere la pensione di reversibilità?
Secondo un primo orientamento, infatti, il diritto del coniuge divorziato ad una quota del trattamento di reversibilità ex art. 9, comma 3, l. n. 898/1970 costituisce un diritto autonomo e di natura previdenziale tanto che il requisito della «titolarità dell’assegno» deve essere interpretato nel senso che vi deve essere stato un accertamento giudiziale relativo all’esistenza delle condizioni solidaristico-assistenziali che ad esso sottendono, risultando irrilevante che il diritto sia già stato riconosciuto e definitivamente quantificato con pagamento in un’unica soluzione (Cass., S.U., sent., n. 159/1998; Cass. n. 13108/2010; Cass. n. 16744/2011).
Diverso è l’orientamento seguito dalla Sezione lavoro (Cass. n. 10458/2002; Cass. n. 9054/2016), secondo cui, invece, la corresponsione dell’assegno divorzile in un’unica soluzione su accordo delle parti, soggetto a verifica giudiziale, «è satisfattivo di qualsiasi obbligo di sostentamento nei confronti del beneficiario, il quale non può avanzare successivamente ulteriori pretese di contenuto economico né può essere considerato, all’atto del decesso dell’ex coniuge, titolare dell’assegno di divorzio, avente come tale diritto di accedere alla pensione di reversibilità o, in concorso con il coniuge superstite, a una sua quota».
La questione è stata rimessa dalla Corte di Cassazione alle Sezioni Unite. Si attende la decisione
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