Per stabilire il diritto del coniuge all’assegno di mantenimento, che spetta se questi non riesce a mantenere un tenore di vita analogo a quello matrimoniale, “il giudice non può limitarsi a considerare soltanto il reddito (sia pure molto elevato) emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma deve tenere conto anche degli altri elementi di ordine economico”.
Lo afferma la Cassazione con l’ordinanza 2445/2015.
I redditi ulteriori e non documentati possono evincersi dal tenore di vita del coniuge onerato all’assegno dopo la separazione e dalla consistenza del suo patrimonio.
Non solo: non si può attribuire all’assegnazione della casa famigliare in comproprietà dei coniugi il valore di componente del mantenimento, poiché l’assegnazione ha lo scopo di garantire ai figli minorenni o non autosufficienti economicamente la continuità dell’habitat familiare.
L’assegnazione della casa ha un valore economico nel senso che incide sulla disponibilità del cedente, e quindi, eventualmente, sulla quantificazione dell’assegno: se ad esempio il marito deve cedere alla moglie la casa in proprietà, dovendo di conseguenza trasferirsi a vivere altrove, pagando un affitto, è evidente che diminuisce la sua capacità economica e di ciò si deve tener conto nel determinare l’ammontare dell’assegno per moglie e figli.