Il rifiuto di sottoporsi agli esami disposti ai fini dell’accertamento della paternità, quali ad esempio il test del Dna, fa scattare la dichiarazione giudiziale di paternità, anche in assenza di prova di rapporti sessuali tra la coppia.
Con la sentenza 11874/2015, la Cassazione conferma il proprio orientamento: nel caso di specie, l’uomo aveva ammesso una relazione intima, seppur saltuaria, con la donna nel periodo del concepimento ed esisteva anche una foto di lui con il bimbo in braccio. I Giudici precisano che «le dichiarazioni della madre sono state valutate unitamente alle altre risultanze, non escluse, con riferimento ai rapporti intimi intervenuti con l’uomo, le ammissioni rese al riguardo dall’interessato». A rilevare è poi il rifiuto a sottoporsi agli esami del Dna, che conferma il principio di diritto espresso dalla Suprema corte circa il quale «nel giudizio promosso per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale, la prova della fondatezza della domanda può trarsi anche unicamente dal comportamento processuale delle parti, da valutarsi globalmente, tenendo conto delle dichiarazioni della madre e della portata delle difese del convenuto. Pertanto, non sussistendo un ordine gerarchico delle prove riguardanti l’accertamento giudiziale della paternità e maternità, il rifiuto ingiustificato del padre di sottoporsi agli esami ematologici, considerando il contesto sociale e la eventuale maggiore difficoltà di riscontri oggettivi alle dichiarazioni della madre, può essere liberamente valutato dal giudice, anche in assenza di prova dei rapporti sessuali tra le parti».