Le registrazioni di conversazioni tra presenti, compiute di propria iniziativa da parte di uno degli interlocutori, “non necessitano dell’autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, ai sensi dell’art. 267 c.p.p., in quanto non rientrano nel concetto di intercettazione in senso tecnico, ma si risolvono in una particolare forma di documentazione che non è sottoposta alle limitazioni ed alle formalità proprie delle intercettazioni” : questo è l’orientamento costante della giurisprudenza, da ultimo ribadito con la sentenza della Cassazione 24288/2016.
le Sezioni Unite hanno evidenziato che, in caso di registrazione di un colloquio ad opera di una delle persone che vi partecipino attivamente o che comunque siano ammesse ad assistervi, difetta “la compromissione del diritto alla segretezza della comunicazione, il cui contenuto viene legittimamente appreso solo da chi palesemente vi partecipa o assiste e la terzietà del captante”. Per cui, “l’acquisizione al processo della registrazione dei colloqui può legittimamente avvenire attraverso il meccanismo di cui all’art. 234, comma 1, c.p.p. che qualifica documento tutto ciò che rappresenta fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo; il nastro che contiene la registrazione non è altro che la documentazione fonografica del colloquio, la quale può integrare quella prova che diversamente potrebbe non essere raggiunta e può rappresentare una forma di autotutela e garanzia per la propria difesa, con l’effetto che una simile pratica finisce col ricevere una legittimazione costituzionale” (Cass., SS.UU., n. 36747/2003).