Lo stato di bisogno di un figlio minore è presunto, trattandosi di un soggetto non in grado di procacciarsi un reddito proprio, e non viene meno anche quando al suo mantenimento provvedano, in via sussidiaria, l’altro genitore o terze persone.
E’ quindi inammissibile il ricorso presentato da un padre, imputato per il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, e va confermata la sua condanna di primo e secondo grado a due mesi di reclusione e al pagamento di 220 euro di multa, con il beneficio della pena sospesa.
Le circostanze addotte a sua difesa dall’imputato – per un periodo di circa due anni aveva percepito una retribuzione mensile di 1000 euro; aveva impiegato tali somme per estinguere dei debiti pregressi inerenti all’attività di piccolo artigiano all’epoca svolta e non per spese personali o addebitabili a un suo comportamento colpevole; peraltro nella certezza che ai bisogni dei bambini stavano provvedendo la madre e i nonni benestanti – per la Corte non sono state sufficienti ad escludere la sua responsabilità penale occorrendo la dimostrazione rigorosa di “una situazione incolpevole di assoluta indisponibilità di introiti sufficienti a soddisfare le esigenze minime di vita dei figli”.
Il reato deve considerarsi integrato per il solo fatto che le vittime sono dei soggetti di età minore e, in quanto tali, impossibilitati a procurarsi i mezzi necessari per mantenersi autonomamente, non avendo alcun rilievo la circostanza che ai bisogni dei bambini abbiano provveduto la madre e i nonni.
Corte di Cassazione penale sentenza n. 10422/2020