Con l’accertamento giudiziale della paternità, la madre ha il diritto di chiedere, oltre al mantenimento, anche una parte delle spese sostenute per il figlio sin dalla nascita. Lo ha stabilito il Tribunale di Ravenna con sentenza 30/4/2016 n. 528, negando, al contempo, il risarcimento del danno non patrimoniale per “perdita del rapporto parentale” in quanto il padre ignorava la nascita del figlio.
Il Tribunale ritiene provato il rapporto di filiazione sulla base di una relazione sentimentale intrattenuta dall’uomo con la madre in un periodo «compatibile con la nascita». Il rifiuto di sottoporsi al test del Dna finisce per rafforzare il valore indiziario da attribuire a tale comportamento da consentire raggiunta la prova della paternità. Infatti, come chiarito dalla Suprema Corte (n. 13885/2015): « il rifiuto di sottoporsi ad indagini ematologiche anche in mancanza di prova dell’esistenza di rapporti sessuali fra le parti, costituisce un comportamento valutabile da parte del giudice, ex articolo 116, comma 2, c.p.c., di così elevato valore indiziario da potere, anche da solo, consentire la dimostrazione della fondatezza della domanda».
All’accertamento della paternità «conseguono in capo al convenuto tutti i diritti e doveri del genitore, primo fra tutti quello di contribuire, unitamente alla madre, a decorrere dalla nascita, al mantenimento del minore». In questo caso, vista la fragilità economica del padre la somma è stata fissata «in misura minimale», 200 euro mensili, sulla base del «solo rapporto di filiazione», prescindendo dunque dalla effettiva capacità contributiva. Per il passato, argomenta il tribunale, «è pacifico che il genitore che ha provveduto al mantenimento del figlio minore in via esclusiva avrà il diritto di ripetere una quota delle spese sostenute e ciò in applicazione analogica della regola del regresso tra condebitori solidali in caso di adempimento dell’obbligazione da uno solo di essi, alla stregua del principio che si trae dall’articolo 148 (richiamato dall’articolo 261) che prevede l’azione giudiziaria contro il genitore inadempiente». Alla madre, a titolo di arretrati, sono stati riconosciuti 3mila euro, corrispondenti all’obbligo di mantenimento del minore dal giorno della nascita fino a quello della domanda giudiziale e cioè dall’agosto 2012 al novembre 2013.
Respinta invece la domanda risarcitoria per «perdita del rapporto parentale»: ritiene il Tribunale che, seppure la Suprema Corte (n. 26205/2013) abbia affermato che «l’inosservanza dei doveri genitoriali, lede il diritto del figlio di ricevere assistenza morale e materiale essenziale per la costruzione dell’identità personale», in tal modo arrecando «quasi certamente un danno alla prole» che presenta entrambi gli elementi di struttura del danno non patrimoniale: 1) la grave lesione di un diritto previsto dalla Costituzione; 2) il danno risarcibile, quale conseguenza immediata e diretta dell’evento lesivo, tuttavia per la sussistenza della responsabilità aquiliana da illecito endofamiliare, occorre valutare anche l’elemento soggettivo della colpa, «ovvero la consapevolezza del concepimento da parte dell’uomo che, nella specie, non appare provata ed anzi pare posta in dubbio proprio dall’allegazione del convenuto, non smentita neppure dall’attrice, riferibile alla concomitante frequentazione intrattenuta dalla donna con un altro uomo all’epoca del concepimento»