L’assegno per il figlio non può essere aumentato solo in forza degli elevati redditi paterni, senza tener conto delle reali esigenze del minore. La Cassazione accoglie il ricorso di un genitore, contro la decisione della corte d’Appello di elevare l’assegno in favore del figlio, nato fuori dal matrimonio, da 800, come stabilito dal Tribunale, a 1.500 euro al mese. La decisione era, infatti, stata presa senza fare alcun riferimento alle reali esigenze di vita del bambino e in assenza di una valutazione compariva dei redditi dei genitori. L’unico “parametro” considerato dal Tribunale era stato le «oltremodo consistenti risorse reddituali e patrimoniali» del padre.
Oltre all’indagine sui bisogni del minore, occorre comparare i redditi di ciascun genitore e le loro risorse. Per determinare l’assegno il giudice deve tenere in considerazione una serie di elementi che vanno dalle esigenze del figlio, al tenore di vita da lui goduto durante la convivenza con i genitori . Nel giudizio pesano anche i tempi di permanenza presso ciascuno di essi e la valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti. Nello specifico il bambino, in affidamento condiviso, era collocato presso la madre. Punto anche questo contestato dal ricorrente, ma senza successo. Tuttavia anche la circostanza che il bambino vivesse prevalentemente con la madre non giustifica il “raddoppio” dell’assegno di mantenimento solo in virtù della ricchezza del padre.
Cass. civ. 25134/2018