Niente assegnazione della casa al coniuge convivente con il minore, se questa solo formalmente era stata destinata ad abitazione familiare: lo ha stabilito la Cassazione (ordinanza n. 22581/2015), intervenendo sul ricorso mosso dall’ex compagna avverso la sentenza del giudice d’appello, nel quale la donna lamentava, tra gli altri motivi di censura, anche la violazione dell’art. 155-quater c.c. (che disciplina appunto l’assegnazione della casa familiare e le prescrizioni in tema di residenza). Il rigetto della domanda di assegnazione della casa di proprietà esclusiva del marito, che pacificamente non era mai stata adibita ad abitazione del nucleo familiare – spiegano all’uopo i giudici della VI-1 Sezione civile – appare coerente con la giurisprudenza di legittimità, secondo la quale «l’assegnazione della casa familiare prevista dall’art. 155-quater cod. civ., rispondendo all’esigenza di conservare l’habitat domestico, inteso come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare, è consentita unicamente con riguardo a quell’immobile che abbia costituito il centro di aggregazione della famiglia durante la convivenza, con esclusione di ogni altro immobile di cui i coniugi avessero la disponibilità». La qual cosa, nel caso di specie, non era avvenuta dal momento che l’ex coniuge, il giorno prima del trasferimento presso la nuova abitazione, aveva abbandonato la famiglia e si era impossessato delle chiavi.