Nel caso di mancato versamento dell’assegno di divorzio, si incorre nel reato previsto dall’art. 570 codice penale, rubricato “Violazione degli obblighi di assistenza familiare”, che così recita:
“Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà dei genitori, o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da lire duecentomila a due milioni.
Le dette pene si applicano congiuntamente a chi:
1) malversa o dilapida i beni del figlio minore o del pupillo o del coniuge;
2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore , ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa salvo nei casi previsti dal numero 1 e, quando il reato è commesso nei confronti dei minori, dal numero 2 del precedente comma.
Le disposizioni di questo articolo non si applicano se il fatto è preveduto come più grave reato da un’altra disposizione di legge”
Le Sezioni Unite Penali, con la sentenza n. 23866 del 31 maggio 2013, sono intervenuta dirimendo il contrasto giurisprudenziale in materia relativamente a quale sia la pena applicabile all’ex coniuge: i Giudici hanno affermato che il trattamento sanzionatorio applicabile per il reato di omessa corresponsione dell’assegno di mantenimento in caso di divorzio è quello della pena alla reclusione e della multa applicabili non già in forma congiunta, ma solo in via alternativa.
Secondo la Corte «in mancanza di sicuri elementi testuali orientativi scaturenti dal testo legislativo, siffatto rinvio deve intendersi — in sintonia con il rapporto di proporzione e con il criterio di stretta necessità della sanzione penale —, al primo comma dell’art. 570 c.p., che costituisce l’opzione più favorevole all’imputato. Una simile interpretazione evita ulteriori disarmonie di trattamento fra la tutela del coniuge convivente, penalmente tutelato soltanto se versa in stato di bisogno, e quella del coniuge divorziato; tra la tutela dei figli minori nell’ipotesi di divorzio; tra la tutela di figli maggiori inabili al lavoro e quella dei figli maggiori non autosufficienti in caso di divorzio».
Viene quindi annullata la sentenza con cuila Corte d’Appello aveva condannato un uomo alla pena di tre mesi di reclusione e 500 euro di multa per aver privato l’ex moglie dei mezzi di sussistenza.