In caso di maltrattamenti il danno morale va riconosciuto anche se non concretamente provato perché «la consumazione di un reato, per di più incidente sulla qualità della vita della vittima in maniera così stringente, non richiede una diretta dimostrazione dell’esistenza delle conseguenze dannose, che discendono dall’accertamento dell’illecito».
E’ quanto afferma la Cassazione penale con la sentenza 35975 del 4 settembre 2015: i maltrattamenti sussistono se c’è la reiterazione di una serie di fatti che, che da soli possono sembrare di lieve entità. Secondo la Corte, «la condotta di maltrattamenti si estrinseca anche con il compimento di atti che isolatamente considerati non costituiscono reato, ma che siano rivelatori del clima di oppressione e prevaricazione imposto dall’autore dei fatti all’interno del nucleo familiare».
Nel caso di specie i maltrattamenti erano stati accertati mediante le concordanti dichiarazioni della donna e del figlio sulle condotte dell’uomo, oltre che da alcuni biglietti di minaccia scritti dall’uomo.