L’imprenditore che in sede di separazione non fornisce una «rappresentazione plausibile» delle sue condizioni economiche rischia di dover pagare all’ex un assegno a che si «presume sostenibile», considerato il rifiuto di fare chiarezza da parte dell’onerato. Non è credibile che l’imprenditore, nonostante la crisi, non percepisca entrate dalla carica di amministratore della srl di cui detiene la maggioranza; mentre risulta decisivo l’accertamento della Finanza che ha scoperto evasione fiscale all’interno dell’azienda. Sulla misura dell’assegno pesa l’addebito della separazione all’uomo. È quanto emerge dall’ordinanza 14172/16 della Cassazione.
nel caso di specie la società del marito non ha dichiarato ricavi per oltre 1,7 milioni di euro, come ha accertato la Polizia Tributaria , ma vanta comunque un consistente volume d’affari e un contratto di concessione con una primaria impresa nazionale. Non conta che l’onerato goda di una pensione inferiore a quella della ex moglie, che ammonta a 600 euro: la donna, vicina ai settant’anni, con il contributo economico stabilito dal giudice può mantenere di un tenore di vita assimilabile a quello goduto in costanza di matrimonio. Non ha dunque molto senso per l’obbligato lamentare la scarsa redditività degli immobili di sua proprietà: il riequilibrio patrimoniale fra le parti risulta necessario. Ed è stabilito tenendo conto non soltanto della durata del matrimonio ma anche dell’addebito della separazione a carico del marito, già condannato in sede penale per maltrattamenti in famiglia. Non resta che pagare le spese di giudizio e il contributo unificato aggiuntivo.