Gli eredi non possono chiedere l’annullamento del matrimonio contratto dal de cuius in stato di assoluta incapacità di intendere e di volere se l’azione non è stata già esercitata dallo stesso prima della morte.
Lo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza n. 14794/2014: la possibilità che soggetti terzi, anche se eredi, impugnino il matrimonio contratto da uno dei coniugi che sia affetto da vizi della volontà e incapacità di intendere e volere, sussiste solo nel caso in cui l’azione sia stata già esercitata dal coniuge il cui consenso o la cui capacità di intendere e volere fosse viziata: in questo caso l’azione è trasmissibile agli eredi qualora il giudizio sia «già pendente alla morte dell’attore». La legge considera il matrimonio un atto personalissimo di volontà che presuppone la piena consapevolezza del suo significato, e quindi la trasmissibilità dell’azione impugnatoria agli eredi è un’ eccezione. Il riconoscimento all’erede del diritto di proseguire l’azione impugnatoria già iniziata dal coniuge rappresenta la realizzazione di un interesse del de cuius e, solo indirettamente, dello stesso erede a che l’altro coniuge venga estromesso dall’eredità.