Non perde il collocamento del minore la madre che si trasferisce in un’altra città per esigenze oggettive, come quelle di lavoro, poiché la presenza materna, per i figli piccoli, è insostituibile.
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 9633 del 12 maggio 2015, respinge il ricorso di un padre che si opponeva al collocamento delle figlie, di cinque e nove anni, presso la madre, magistrato trasferito d’ufficio.
Quando si discute di affidamento dei figli, il giudice non ha il potere d’imporre all’uno o all’altro dei coniugi stessi di rinunziare a un progettato trasferimento,trattandosi peraltro di un diritto fondamentale costituzionalmente protetto: si può solo prendere atto delle decisioni dell’interessato e valutare se sono conformi all’interesse dei minori. Dalla decisione di trasferirsi non discende automaticamente la perdita dell’affidamento o del collocamento. In sostanza, innanzi alle scelte insindacabili sulla propria residenza compiute dei coniugi separati, i quali non perdono, per il solo fatto che intendono trasferire la propria residenza lontano da quella dell’altro coniuge, l’idoneità ad essere collocatari dei figli minori, il giudice ha esclusivamente il dovere di valutare se sia più funzionale al preminente interesse della prole il collocamento presso l’uno o l’altro dei genitori, per quanto ciò incida negativamente sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non collocatario: conseguenza, questa, comunque ineluttabile, sia nel caso di collocamento presso il genitore che si trasferisce, sia nel caso di collocamento presso il genitore che resta. La tenera età delle bambine è sufficiente a far prevalere le ragioni delle madre, essendo la sua presenza indispensabile in quella fascia di età.