Il padre che, pur avendo uscite mensili per spese e finanziamenti non mette a reddito un immobile di proprietà, concesso in comodato gratuito a un amico, ha comunque potenzialità economica, e quindi è giusto aumentare l’assegno per il mantenimento del figlio minore.
Lo ha sancito il Tribunale di Roma con la sentenza 1484/15, in un caso in cui, in sede di separazione consensuale, il giudice, comparati i redditi dei coniugi, stabiliva a carico del marito, con un reddito di 2.100 euro, un contributo per la figlia minore convivente con la madre di 250 euro mensili. Dalle risultanze processuali, era emerso che la donna percepiva una retribuzione netta mensile di 2.400 euro mensili ed era comproprietaria, insieme al compagno, di un appartamento, per il quale versava, pro quota, una rata di mutuo di 1.200 euro. Il padre della minore viveva nell’appartamento della nuova compagna ed era proprietario esclusivo di un immobile, concesso in comodato gratuito a un amico. La scelta di non ricavare dall’immobile un reddito, «oltre ad apparire irragionevole alla luce delle difficoltà economiche riferite dall’uomo, gravato da una serie di spese e finanziamenti nella misura di oltre 400 euro mensili, che non gli consentirebbero di provvedere al mantenimento della figlia in misura maggiore rispetto a quanto previsto in sede di separazione, non incide sulla valutazione della complessiva capacità patrimoniale della parte, che deve essere effettuata alla luce della potenzialità economica della proprietà immobiliare di cui dispone, in quanto in astratto suscettibile di produrre reddito».
Disposto quindi l’aumento dell’assegno per la figlia a 500 euro mensili.