il parametro dell’indipendenza economica (che non è né bloccata alla soglia della pura sopravvivenza né deve eccedere il livello della normalità) non è stato «sovvertito dalle Sezioni Unite n. 18287, ma solo parzialmente corretto».
Secondo la Corte, infatti: a) dopo l’intervento nomofilattico «risulta confermata la imprescindibile finalità assistenziale dell’assegno, con la quale può concorrere, in determinati casi, quella compensativa»; b) la funzione compensativa non soccorre tutte le volte che «il coniuge richiedente si trova in condizioni di autosufficienza economica. L’esistenza di un obbligo di pagamento dell’assegno implica un perdurante legame di dipendenza economica tra gli ex coniugi che non c’è quando detto obbligo non sussista, cioè quando (e proprio perché) entrambi sono economicamente indipendenti»; c)«il parametro della inadeguatezza dei mezzi va riferito quindi sia alla possibilità di vivere autonomamente e dignitosamente, sia all’esigenza compensativa del coniuge più debole per le aspettative professionali sacrificate per avere dato, in base ad accordo con l’altro coniuge, un dimostrato e decisivo contributo alla formazione del patrimonio comune e dell’altro coniuge».
Ne discende che l’attribuzione e la quantificazione dell’assegno non dipendono solo dall’alto livello reddituale di uno degli ex coniugi, giacché l’assegno divorzile è previsto dalla legge «per consentire al coniuge richiedente più debole di soddisfare le esigenze di vita autonoma e dignitosa che, dopo le Sezioni Unite del 2018, devono tenere conto anche delle aspettative professionali sacrificate, in base ad accordo con l’altro coniuge, per avere dato un particolare e decisivo contributo alla formazione del patrimonio comune e dell’altro coniuge».
Cass. civ., sez. I, 7 ottobre 2019, n. 24934