Il lavoro svolto per diversi anni da un soggetto legato da un rapporto sentimentale con cui si è instaurata anche una convivenza a tutti gli effetti (famiglia di fatto) si considera lavoro vero e proprio, da retribuire secondo le regole previste dal relativo contratto collettivo di categoria, anche se nulla sia stato rivendicato per tanto tempo.
La circostanza che la prestazione sia stata svolta per tanto tempo, senza nulla rivendicare, non trasforma tale prestazione in una a titolo gratuito. Insomma, si tratta di lavoro subordinato vero e proprio, a titolo oneroso. Lo ha detto la Corte di Cassazione sez. lavoro con la sentenza 18 giugno – 29 settembre 2015, n. 19304
Il diritto alla retribuzione viene meno solo se si dimostra che alla base della prestazione lavorativa v’era un intento solidaristico e non lucrativo: ossia, l’ex convivente lavorava non per guadagnare ma per aiutare l’altro. L’attività lavorativa e di assistenza svolta all’interno di un contesto familiare in favore del convivente more uxorio, infatti, trova solitamente la propria causa nei vincoli di fatto di solidarietà ed affettività esistenti, diversi rispetto ai vincoli tipici di un rapporto a prestazioni corrispettive, qual è il rapporto di lavoro subordinato, pur non potendosi escludere che talvolta le prestazioni svolte possano trovare titolo in un rapporto di lavoro subordinato, che deve essere rigorosamente dimostrato.
Dunque, l’esistenza di una relazione sentimentale non è titolo sufficiente per considerare a titolo gratuito il rapporto di lavoro svolto in favore del partner