Il genitore separato o divorziato presso cui i figli sono stati collocati non può impedire all’altro di vederli ed esercitare così il suo diritto di visita nelle forme e nei termini fissati dal Giudice.
Rischia altrimenti di incorrere nel reato di “mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice”. Solo se sussistono gravi ragioni che suggeriscono, nell’interesse del minore stesso, di sospendere le visite (in attesa di una nuova pronuncia del giudice), non c’è reato.
Lo chiarisce la Cassazione con la sentenza n. 15971/2016. Nel caso di specie una madre impediva al padre di vedere la figlia ritenendolo inadatto a prendersene cura in quanto la giovane era affetta da grave handicap psico-motorio. Il rifiuto a consegnare la bimba all’altro genitore era stato determinato esclusivamente dal timore che potesse derivare alla minore un danno alla salute o alla vita. Ma non si tratta di un fatto nuovo, sopravvenuto rispetto a quanto già valutato dal Giudice. Per la Suprema Corte il principio generale è quello secondo cui il genitore collocatario deve sempre rispettare il diritto di visita dell’altro e, quindi, il provvedimento del giudice con cui ha stabilito che quest’ultimo vedesse i propri figli in determinati giorni e ore della settimana. Chi ostacola tali incontri non solo rischia di essere punito per aver commesso un reato, ma potrebbe anche perdere l’affidamento dei figli.
Ma, se dopo la sentenza di separazione o divorzio che ha definito le modalità degli incontri genitore/figlio sopraggiungono gravi motivi che portano il genitore collocatario a ritenere necessario interrompere le visite, egli può farlo in via d’urgenza, ma deve poi attivarsi per chiedere una modifica del provvedimento del giudice di affidamento. Tali gravi motivi non devono per forza consistere in uno stato di necessità, ma è necessario comunque che attengano a una valutazione fatta nell’interesse del minore. L’impedimento grave non deve riguardare una situazione del genitore, ma del figlio (ad esempio, padre si sia reso responsabile di un comportamento imprudente che denoti disinteresse e metta il minore in pericolo). Infine si deve trattare di un fatto sopravvenuto rispetto alla sentenza del giudice che regola l’affidamento: se, infatti, tale circostanza già esisteva all’epoca del primo provvedimento, di essa il giudice ha già tenuto conto.