Commette reato di sottrazione del minore il genitore che porti via il figlio senza il consenso dell’altro o lo trattenga presso di sè, impedendo all’altro genitore l’esercizio concreto della potestà genitoriale.
Così si è espressa la Cassazione penale con la sentenza 29 luglio 2014, n. 33452.
Entrambi i coniugi sono contitolari dei poteri-doveri disciplinati dall’art. 316 cod. civ., ma affinché la condotta di uno di essi possa integrare l’ipotesi criminosa prevista dall’art. 574 c.p., è necessario che il comportamento dell’agente porti ad una globale sottrazione del minore alla vigilanza dell’altro genitore, sì da impedirgli l’esercizio della funzione educativa ed i poteri inerenti all’affidamento, rendendogli impossibile l’ufficio che gli è stato conferito dall’ordinamento nell’interesse del minore stesso e della società (Sez. 6, n. 7836 del 08/04/1999, dep. 16/06/1999, Rv. 214761; Sez. 5, n. 37321 del 08/07/2008, dep. 01/10/2008,Rv. 241637; Sez. 6, n. 22911 del 19/02/2013, dep. 27/05/2013, Rv. 255621). Ne consegue che risponde del delitto di sottrazione di persona incapace il genitore che, senza il consenso dell’altro, porta via con sè il figlio minore, allontanandolo dal domicilio stabilito, ovvero lo trattiene presso di sè, quando tale condotta determina un impedimento per l’esercizio delle diverse manifestazioni della potestà dell’altro genitore, come le attività di assistenza e di cura, la vicinanza affettiva, la funzione educativa, identificandosi nel regolare svolgimento della funzione genitoriale il principale bene giuridico tutelato dalla norma