1) L’OBBLIGO DI CONTRIBUZIONE AL MANTENIMENTO DEI FIGLI CAMBIA CON LA SEPARAZIONE O IL DIVORZIO?
Anche se interviene separazione, divorzio o cessazione della convivenza, ogni genitore deve continuare a farsi carico delle spese per i figli in base alle proprie possibilità.
I doveri dei genitori nei confronti dei figli rimangono identici, con la conseguenza che ciascun genitore ha l’obbligo di contribuire, in base alle proprie possibilità economiche, al mantenimento dei figli (Cassazione 13 maggio 2011, n. 10669). Sul punto giurisprudenza e dottrina sono unanimi.
2) SE UN GENITORE NON ADEMPIE RISCHIA DI PERDERE L’AFFIDO CONDIVISO?
La violazione dell’obbligo di mantenimento comporta un giudizio negativo sulla capacità genitoriale dell’inadempiente e costituisce ragione ostativa all’applicazione dell’affidamento condiviso (Cassazione 17 dicembre 2009, n. 26587).
Quindi anche il genitore disoccupato o licenziato deve contribuire al mantenimento dei
figli, attivandosi per fare tutto il possibile per garantire il minimo essenziale per la vita e la
crescita del figlio, da valutarsi in relazione alla sua età e alle condizioni socio-economiche del suo
nucleo familiare (tranne che il genitore soffra di patologie gravemente invalidanti che gli
impediscano di lavorare).
3) COME SI DETERMINA LA MISURA DEL MANTENIMENTO ?
Fondamento dell’obbligo è l’art.148 del Codice civile che impone di far riferimento
alla capacità di lavoro professionale del genitore e, quindi, richiede una valutazione complessiva
delle risorse reddituali di quest’ultimo, non circoscritta agli introiti del momento, ma estesa a quelli
che è in grado di procurarsi impiegando interamente le sue energie lavorative (Cassazione 9 ottobre
2012 n. 17189).
4) PRATICAMENTE, COME SI CONTRIBUISCE AL MANTENIMENTO DEI FIGLI ?
Se viene disposto l’affidamento condiviso del figlio con collocamento prevalente presso uno dei genitori, l’altro deve contribuire al mantenimento tramite un assegno mensile, poiché
l’affidamento a entrambi i genitori non implica, come conseguenza automatica, che ciascuno dei
genitori debba provvedere paritariamente, in modo diretto e autonomo, alle esigenze dei figli
(Cassazione 20 gennaio 2012, n. 785). E questo nonostante il tenore letterale dell’art. 155 cod. civ.
L’eventuale applicazione, in via residuale, del mantenimento diretto potrà essere valutata
dal giudice caso per caso; assume notevole rilevanza il criterio dell’affidabilità del genitore
obbligato, che, per un verso, dovrà dimostrare che, in passato, aveva acquistato beni e servizi
direttamente in favore dei figli e, per altro verso, dovrà indicare, nel ricorso per separazione o per
divorzio, le singole voci di spesa attraverso cui intende contribuire al mantenimento della prole
(Tribunale di Catania 25 settembre 2009).
5) COME SI QUANTIFICA IL MANTENIMENTO ?
Ai fini della quantificazione dell’assegno per i figli, il criterio più importante è
costituito dalle loro esigenze di vita: non solo vitto, alloggio e spese quotidiane, ma anche acquisto
di beni durevoli, come indumenti e libri (Cassazione 6 novembre 2009, n. 23630). Oltre alle esigenze individuali: si pensi, ad esempio, a un minore disabile che necessiti di particolari terapie
(Cassazione 12 settembre 2011, n. 18618). L’assegno aumenta con la crescita dei figli, perché si
ampliano le loro esigenze economiche (Cassazione 4 giugno 2012, n. 8927).
L’onere complessivo di mantenimento dei figli, a carico dei genitori, è costituito non solo dai costi
diretti di mantenimento, ma anche da tutti gli oneri indiretti, tra cui, ad esempio, il canone di
locazione dell’immobile adibito a casa familiare e, nell’ipotesi di impegno lavorativo del genitore
collocatario, il salario per una baby sitter (Cassazione 1 agosto 2007, n. 16983).
La valutazione in ordine alle capacità economiche dei genitori va operata sul reddito netto, depurato
dalle imposte (Cassazione 23 aprile 2010 n. 9719).