Nel procedimento per la dichiarazione giudiziale della paternità, il Giudice può liberamente valutare il rifiuto ingiustificato di tutti i fratelli unilaterali di sottoporsi all’esame del Dna: basta quindi il rifiuto per far scattare la presunzione di paternità.
Lo ha affermato la Corte di cassazione con la sentenza n. 6025 del 25 marzo 2015, respingendo il ricorso degli eredi di un uomo che era stato ritenuto dalla Corte d’Appello padre della ricorrente.
Il principio conclamato in giurisprudenza, e ribadito nella sentenza in commento, è che giudizio promosso per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale, il rifiuto ingiustificato di sottoporsi agli esami ematologici può essere liberamente valutato dal giudice, ai sensi dell’art. 116, secondo comma, cod. proc. civ., anche in assenza di prova dei rapporti sessuali tra la madre e la persona di cui si assume la paternità.
Inoltre, l’efficacia delle indagini ematologiche e immunogenetiche sul Dna non è contestabile sul presupposto che esse sono suscettibili di utilizzazione solo per compiere valutazioni meramente probabilistiche, in quanto tutte le asserzioni delle scienze fisiche e naturalistiche hanno natura probabilistica, anche quelle solitamente espresse in termini di leggi scientifiche, e tutte le misurazioni, anche quelle condotte con gli strumenti più sofisticati, sono ineluttabilmente soggette a errore, sia per ragioni intrinseche (c.d. errore statistico), che per ragioni legate al soggetto che esegue o legge le misurazioni (c.d errore sistematico), spettando al giudice di merito, nell’esercizio del suo potere discrezionale, la valutazione dell’opportunità di disporre indagini suppletive o integrative di quelle già espletate, di sentire a chiarimenti il consulente tecnico di ufficio ovvero di disporre la rinnovazione delle indagini.