Non può essere omologato l’accordo di separazione che prevede, tra le condizioni, la prosecuzione della convivenza a tempo indeterminato ovvero fino al raggiungimento di condizioni economiche tali da consentire ad uno dei due coniugi il reperimento di una diversa soluzione abitativa.
Lo afferma il Tribunale di Como (sentenza 6.6.2017): ferma restando la facoltà delle parti «di comportarsi e autodeterminarsi come meglio credono», la loro volontà non può portare a «piegare gli istituti giuridici sino a dare riconoscimento e tutela a situazioni le quali non solo non sono previste dall’ordinamento ma si pongono altresì in contrasto con i principi che ispirano la normativa in materia familiare». Non possono essere riconosciute soluzioni “ibride” che implichino da una parte il venir meno di gran parte dei doveri matrimoniali gravanti sui coniugi e dall’altra la persistenza della coabitazione, considerata anch’essa un dovere coniugale ex art. 143 c.c. derogabile solo in funzione del superiore interesse della famiglia.
Non può essere accolta la pretesa di attribuire, con l’omologa, riconoscimento giuridico con i conseguenti effetti tipici della separazione coniugale ad un accordo privatistico che regolamenta la condizione di “separati in casa”: tale circostanza, infatti, non solo non corrisponde ad alcun tipo di strumento e/o istituto nell’attuale ordinamento ma si presterebbe, «fin troppo facilmente», ad operazioni elusive e accordi simulatori per finalità anche illecite.