Anche i coniugi separati continuano a vivere sotto lo stesso tetto, non significa che si siano riconciliati.
Così si è espressa la sesta sezione civile della Cassazione, con l”ordinanza n. 2360/2016 rigettando il ricorso di una donna che sosteneva l’avvenuta riconciliazione con l’ex marito, vista la ricostituzione della convivenza tra i due, proseguita fino a pochi mesi prima della domanda di divorzio.
Per i Giudici di merito la ricostituzione della convivenza non può essere confusa con la semplice coabitazione: la Cassazione conferma e quanto all’onere della prova afferma che l’eccezione di sopravvenuta riconciliazione deve essere proposta ad istanza di parte, non può essere rilevata d’ufficio e spetta alla parte convenuta dimostrarla.
In ordine all’asserita riconciliazione ha ricordato la S.C., la “mera coabitazione” non è sufficiente a provarla, “essendo necessario il ripristino della comunione di vita e d”intenti, materiale e spirituale, che costituisce il fondamento del vincolo coniugale” (cfr. Cass. n. 19535/2014).
Né possono rilevare a tal fine i motivi della coabitazione, ha precisato piazza Cavour, “oggi frequenti per la notoria caduta dei redditi accentuatasi in ragione della crisi economica del paese” e sicuramente “non decisivi ai fini della prova che, tuttavia, può porre anche la loro menzione nel tragitto finalizzato all”accertamento del complessivo comportamento delle parti nel periodo di separazione per il compimento dello scrutinio dell”avvenuto ripristino della comunione materiale e spirituale dei coniugi”.
La mera ripresa della coabitazione va equiparata alla “coabitazione inerziale, o interessata da ragioni meramente materiali, dovute a fattori economici o logistici di altra natura”, laddove non vengano riprese le relazioni reciproche.