Il peggioramento delle condizioni economico – patrimoniali dell’ex marito, rispetto al passato, determina una riduzione dell’assegno divorzile in favore dell’ex moglie: è quanto statuito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 17301/12; depositata il 10 ottobre.
Il caso: dopo un matrimonio di lunga durata (30 anni), interviene il divorzio; a carico dell’uomo viene posto un assegno divorzile per la donna, inizialmente di 900 euro, diminuito a 500 dalla Corte d’Appello, in considerazione del sostanziale e progressivo deterioramento delle condizioni patrimoniali di entrambe le parti, un tempo entrambe floride, con accentuato squilibrio a favore dell’ex marito. Avverso la decisione, l’ex moglie propone ricorso in Cassazione.
Gli Ermellini, premettendo che la Corte d’Appello aveva esaminato un solo aspetto, ossia il confronto dell’entità delle pensioni delle parti, rigettano il ricorso, confermando la legittimità della riduzione dell’assegno mensile.
La Corte (ribadendo i principi già espressi in precedenza, e cristallizzati nella sentenza a S.U. 29 novembre 1990 n. 11490) afferma che l’accertamento del diritto all’assegno di divorzio, ex art. 5 l. div., si articola in due fasi:
1) esistenza del diritto in astratto (in relazione all’inadeguatezza dei mezzi o all’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, con ciò confermando la natura assistenziale dell’assegno di divorzio) e determinazione quantitativa delle somme sufficienti a superare l’inadeguatezza di detti mezzi, che costituiscono il tetto massimo della misura dell’assegno;
2) determinazione in concreto dell’assegno in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri
indicati nell’art. 5, comma 6, della L. 1 dicembre 1970, n. 898, come modificato dalla L. 6 marzo 1987, n. 14, art. 10 – e cioè delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, del reddito di entrambi, valutando tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio – che quindi agiscono come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto; e possono, in ipotesi estreme, valere anche ad azzerarla quando la conservazione del tenore di vita assicurato dal matrimonio finisca per risultare incompatibile con detti elementi di quantificazione.
Con riguardo alla quantificazione dell’assegno di divorzio, se è vero il Giudice non è tenuto ad utilizzare tutti i suddetti criteri purché ne dia adeguata giustificazione, anche in relazione alle deduzioni e alle richieste delle parti, dovrà in ogni caso valutarne l’influenza sulla misura dell’assegno stesso.
Posto quanto sopra, la Corte ritiene che i Giudici d’Appello abbiano condotto un esame ponderato delle rispettive posizioni reddituali delle parti, ponendo in evidenza, per entrambe, il deterioramento delle attività imprenditoriali, che “risultano sostanzialmente azzerate”, e quindi la scelta di privilegiare il reddito effettivo, costituito dai rispettivi trattamenti pensionistici, appare assolutamente corretta sotto il profilo logico-giuridico. In tale quadro, non assume rilievo decisivo il dato, meramente contabile, relativo alla gestione negativa dell’esercizio commerciale dell’ex moglie, poiché, come anzidetto, deve escludersi la necessità di una puntuale considerazione, da parte del giudice che dia adeguata giustificazione della propria decisione, di tutti, contemporaneamente, i parametri di riferimento indicati dalla legge sul divorzio per la determinazione dell’importo dell’assegno.
Quindi, giustamente i Giudici territoriali hanno ridotto l’assegno a carico dell’ex marito, essendosi accertato, sulla base delle condizioni patrimoniali e reddituali degli ex coniugi, che, pur permanendo uno squilibrio delle rispettive condizioni, la posizione dell’uomo, si era deteriorata in modo maggiore.