La Corte d’appello di Genova applica in modo prudenziale il principio dell’autosufficienza economica sancito dalla Corte di Cassazione in tema di assegno di divorzio.
Secondo la Corte, deve considerarsi, innanzitutto, che il criterio del “medesimo tenore di vita in costanza di matrimonio” non può più essere mantenuto poiché nella maggioranza dei casi, il divorzio, aumentando le spese, impoverisce i coniugi e, pertanto, il tentativo di mantenere il tenore di vita precedente per uno dei due fa «precipitare l’altro ad un tenore di vita molto inferiore a quello prima goduto». Se pare poi giusto punire le «rendite parassitarie», costituite dalle ipotesi in cui il coniuge economicamente più debole dopo pochi anni di matrimonio decide di rompere il vincolo e vivere di rendita alle spalle dell’altro, la Corte non ritiene lecito assumere i medesimi comportamenti punitivi anche nei confronti del coniuge che invece è rimasto sposato per diversi anni continuando a lavorare per incrementare le risorse economiche familiari.
«Non è detto quindi che in caso di divorzio l’ex coniuge che lavori non abbia in via assoluta diritto ad un assegno divorzile, ma occorre valutare la necessità di un’eventuale integrazione del suo reddito alla luce dei concreti oneri che lo stesso debba sostenere tenendo conto del suo lavoro, del suo patrimonio, della sua salute e della sua collocazione nella società».
Nel caso di specie, quindi, ricostruita la situazione patrimoniale e professionale dell’ex moglie, in relazione anche agli obblighi connessi alla figlia, la Corte d’appello conferma l’obbligo in capo all’appellante di corrispondere un assegno divorzile in favore della donna.
da il familiarista.it