non commette reato colui che assiste a una conversazione svoltasi tra altre persone se autorizzato da una di esse, non è altresì passibile di alcuna azione legale – civile o penale – chi consente a terzi di origliare la telefonata che ha con un’altra persona, anche se quest’ultima, all’insaputa di ciò, rivela fatti personali e riservati. Ciò perché rientra nella facoltà di chiunque informare altri di ciò che gli viene detto da un’altra persona nel corso di un colloquio, sia telefonico che diretto.
Lo afferma la Cassazione penale con la sentenza . n. 15003/2013: «Non commette il reato di cui all’art. 615-bis c.p., né quello di cui agli artt. 617 e 623 c.p. colui che assiste ad una conversazione telefonica svoltasi fra altre persone, in quanto autorizzato da una delle stesse». In motivazione, la Corte ha osservato che la partecipazione da parte di terzi estranei alla conversazione telefonica tra due persone non realizza le fattispecie previste dagli artt. 615-bis, 617 e 623 c.p., che riguardano l’intrusione di terzi in assenza del consenso dei partecipanti, poiché rientra nella facoltà di ciascuno dei conversanti di porre a conoscenza di altri quanto percepisce, mentre tale possibilità di ostensione a terzi delle proprie comunicazioni rientra nel rischio dei partecipanti al dialogo di vedere diffuse le proprie affermazioni, insito in qualsiasi rapporto interpersonale, ineludibile se non con la generica fiducia riposta nella persona con la quale ci si pone in relazione. La Corte ha rilevato, inoltre, che le suddette fattispecie presuppongono l’intrusione nelle comunicazioni di terzi avvenute senza il consenso di uno dei partecipi, come è reso evidente dagli incisi “indebitamente” e “fraudolentemente” richiamati, rispettivamente, nell’art. 615-bise nell’art. 517 c.p. o fanno riferimento a rivelazioni di segreti conosciuti per ragioni del proprio stato o ufficio e della propria professione o arte.