La legge di uno Stato membro (in questo caso quella italiana che porta al divorzio solo dopo un periodo di separazione personale di almeno 3 anni rispetto al momento in cui il giudice viene adito con la domanda di divorzio), richiamata dal regolamento 1259/2010, va applicata anche se contiene condizioni più restrittive rispetto a quella del foro poiché questa situazione non può essere assimilata al caso in cui in un ordinamento non sia previsto il divorzio. Di conseguenza, anche se in uno Stato membro non è regolata la procedura di separazione personale, la competenza rimane dei giudici degli Stati membri individuati in base al regolamento Ue 2201/2003 sulla competenza, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale. Inoltre, la legge applicabile in mancanza di scelta operata dalle parti, resta quella della residenza abituale dei coniugi secondo quanto previsto dall’articolo 8 del regolamento 1259/2010. Pertanto, l’articolo 10 del regolamento in base al quale se «la legge applicabile ai sensi dell’articolo 5 o dell’articolo 8 non preveda il divorzio o non conceda a uno dei coniugi, perché appartenente all’uno o all’altro sesso, pari condizioni di accesso al divorzio o alla separazione personale» va richiamata la legge del foro, non deve essere applicato in modo analogico ai casi in cui il divorzio sia preceduto dalla separazione personale. La Corte ha così escluso l’equiparazione tra inesistenza del divorzio e normativa restrittiva, evitando che gli obiettivi del regolamento, ossia la costituzione di un «quadro giuridico chiaro e completo in materia di legge applicabile al divorzio e alla separazione personale negli Stati membri partecipanti», della certezza del diritto, della prevedibilità e della flessibilità nei procedimenti matrimoniali internazionali siano vanificati.
Corte di Giustizia, sentenza del 16 luglio 2020 (causa C-249/19, JE),