Deve ritenersi legittima la condanna del terzo (che aveva acquistato un immobile da uno soltanto dei coniugi che l’aveva precedentemente acquistato come bene personale) al rilascio dell’immobile rivelatosi in comunione. Egli infatti non può essere ritenuto in buona fede rispetto alla destinazione d’uso a studio professionale, dovendosi presumere che se avesse previamente visionato l’immobile si sarebbe reso conto che si trattava di una abitazione coniugale. Il sopravvenuto accertamento dell’appartenenza del bene anche all’altro coniuge può essere opposto al compratore qualora si dimostri che costui non fosse in buona fede ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1445 cod.civ., posto che l’atto di trasferimento a detto acquirente era stato trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda giudiziale di annullamento del contratto. Deve infatti ritenersi che la verifica preventiva delle condizioni dell’immobile sia di regola compiuta da un compratore di media agiatezza.
(Cass. Civ., Sez. II, sent. n. 24816 del 9 ottobre 2018)