L’adozione speciale o in casi particolari, disciplinata dall’art. 44, lett. d),l., 4 maggio 1983, n. 184, non richiedendo l’avvenuta dichiarazione di adottabilità del minore bensì unicamente la verifica della compatibilità dell’adozione con l’interesse di quest’ultimo, può essere pronunciata nel contesto di una famiglia composta da due persone dello stesso sesso in una stabile relazione affettiva.
Due donne adivano il Tribunale per i Minorenni di Milano ex art. 44, lett. d), l. 4 maggio 1983, n. 184 per ottenere ciascuna l’adozione della figlia biologica dell’altra tramite procreazione medicalmente assistita e seme di un medesimo donatore anonimo, avevano dato alla luce due bambine.
Il Tribunale rigettava i loro ricorsi.
Proponevano quindi ricorso in Corte d’Appello, invocando l’applicazione anche alla coppia omogenitoriale ai sensi dell’art. 44, lett. d), della legge sulle adozioni, che disciplina l’adozione in casi particolari o speciale. La norma stabilisce che un minore possa essere adottato «quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo», ricorrendo tale ipotesi ogniqualvolta non ricorra la condizione prevista dall’art. 7 della citata legge, e cioé il minore non sia stato dichiarato in stato di adottabilità, non sussistendone le condizioni. Nel caso di specie, al pari di tutte le ipotesi di omogenitorialità in generale, questa condizione non ricorre perché il minore non si trova in stato di abbandono, ma continua a vivere con il proprio genitore biologico pienamente idoneo ad occuparsene. E’ ammissibile che al genitore biologico si aggiunga un’altro soggetto non coniugato col primo, posto che l’adozione del minore postula il rapporto di coniugio e le coppie omosessuali non possono in Italia sposarsi?
Secondo l’interpretazione maggioritaria, inaugurata dal Tribunale per i minorenni di Roma del 2014 ma seguita poi successivamente da numerosi altri uffici giudiziari, la «constatata impossibilità di affidamento preadottivo» deve intendersi come impossibilità non solo di fatto ma anche giuridica, e ciò sia in virtù del dato letterale della norma, che è estremamente generico, sia perché una diversa soluzione «non consentirebbe il perseguimento dell’interesse preminente del minore in situazioni, come quella di cui qui trattasi, in cui il figlio di soggetto convivente con l’adottante abbia con quest’ultimo un rapporto del tutto equivalente a quello che si instaura normalmente con un genitore, al quale però l’ordinamento negherebbe qualsiasi riconoscimento e tutela» (Trib. min. Roma, 30 luglio 2014, n. 429).
Questa tesi è seguita anche dalla sentenza della Cassazione, 22 giugno 2016, n. 12962: la particolare ipotesi adozione speciale di cui all’art. 44, lett. d), mira «a dare riconoscimento giuridico, previo rigoroso accertamento della corrispondenza della scelta all’interesse del minore, a relazioni affettive continuative e di natura stabile instaurate con il minore e caratterizzate dall’adempimento di doveri di accudimento, di assistenza, di cura e di educazione analoghi a quelli genitoriali». Si tratta insomma di sancire giuridicamente una relazione che già esiste in via di fatto. Inoltre, la Corte è stata piuttosto chiara nell’affermare che «l’accertamento di una situazione di abbandono […] non costituisce, differentemente dall’adozione legittimante, una condizione necessaria per l’adozione in casi particolari», in quanto, «coerentemente con il sistema della tutela dei minori e dei rapporti di filiazione biologica ed adottiva attualmente in vigore, deve ritenersi sufficiente l’impossibilità “di diritto” di procedere all’affidamento preadottivo e non solo quella “di fatto”, derivante da una condizione di abbandono in senso tecnico-giuridico o di semi-abbandono».
Secondo la Corte d’Appello di Milano, chiamata a pronunciarsi sul rigetto della richiesta di adozione da parte del Tribunale per i Minorenni, a Corte osserva che la l. n. 76/2016, nell’equiparare – al suo art. 1, comma 20 – gli uniti civilmente ai coniugi rispetto a qualsivoglia legge, regolamento, atto amministrativo o contratto collettivo, precisa che «resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti». Tale espressione deve necessariamente interpretarsi come facente riferimento all’«interpretazione giurisprudenziale così come si è sviluppata nel tempo e come indicata da ultimo dalla Suprema Corte con sentenza n. 12962/2016». Con riguardo a quest’ultima sentenza, inoltre, la Corte d’appello osserva che il Tribunale ha voluto sfuggire «ad un confronto lineare e convincente con le indicazioni fornite […] dalla Corte di Cassazione», e nello specifico alla necessità di valutare sempre la realizzazione dell’interesse del minore nel caso di specie. Il Tribunale ha insomma «ravvisato ostacoli all’adozione richiesta che viceversa la norma non pone».
Da ultimo, la Corte precisa che, «ove le indagini [sull’idoneità dell’adottante] diano esito positivo, l’adozione risponda all’interesse del minore e vi sia il consenso di tutti i soggetti interessati [… non possono] essere posti ostacoli alla richiesta di adozione se non per il prevalere di pregiudizi legati ad una concezione dei vincoli familiari non più rispondente alla ricchezza e alla complessità delle relazioni umane nell’epoca attuale».
La Corte richiama anche i principi CEDU: esiste un diritto a non vedersi discriminati in virtù del proprio orientamento sessuale nei procedimenti di adozione (Corte EDU, 22 gennaio 2008, ric. n. 43546/02, E.B. c. Francia). Rappresenta inoltre una discriminazione vietata dall’art. 8 CEDU, in combinato disposto con l’art. 14, il fatto di riconoscere la possibilità di adozione coparentale in seno alle coppie di conviventi di sesso diverso e non – coeteris paribus – alle coppie dello stesso sesso (Corte EDU., 19 febbraio 2013, ric. n. 19010/07, X e altri c. Austria). Inoltre, i Giudici richiamano i presupposti per la positiva applicabilità dell’art. 44, lett. d): il consenso del genitore biologico, la realizzazione del preminente interesse del minore, l’effettiva idoneità e capacità dell’adottante di istruire ed educare il minore; la presenza di elementi positivi relativamente alla famiglia dell’adottante, alla sua situazione personale, economica e di salute; la possibilità dell’idonea convivenza tra l’adottante e il minore, il tutto in relazione alla personalità di quest’ultimo. Tali presupposti, ricorda opportunamente la Corte, «hanno all’evidenza un carattere preponderante e ben più pregnante rispetto alle semplici pre-condizioni di cui all’art. 44».