ART. 571 C.P.: “Chiunque abusa di mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, con la reclusione fino a sei mesi.
Se dal fatto deriva una lesione personale, si applicano le pene stabilite negli articoli 582 e 583, ridotte a un terzo; se ne deriva la morte, si applica la reclusione da tre a otto anni”.
La finalità dell’art. 571 c.p. è quella di reprimere la condotta di coloro che, in forza della loro autorità, abusano dei mezzi di correzione e di disciplina nei confronti della persona loro sottoposta o a loro affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia o per l’esercizio di una professione o di un’arte, se dal fatto deriva un pericolo al corpo o alla mente.
I soggetti attivi del reato sono solamente coloro che sono legati al soggetto passivo da un vincolo di cui sono titolari in ragione di una particolare forma di autorità, che si concretizza nello ius corrigendi.
Soggetto passivo non può essere il figlio maggiorenne, bensì solo il figlio minore che non può sottrarsi alla responsabilità genitoriale.
La condotta sanzionata si concretizza quando l’azione posta in essere dal soggetto attivo, trascendendo i limiti dell’uso del potere correttivo e disciplinare a lui spettante nei confronti della persona offesa, sconfina nell’abuso, qualora lo ius corrigendi venga esercitato con modalità non adeguate o per perseguire un interesse diverso da quello per il quale è conferito dall’ordinamento.
Condizione necessaria è che l’abuso stesso possa generare un pericolo di malattia alla persona che lo ha subito: pericolo di lesioni all’incolumità fisica o alla serenità psichica di chi lo subisce, come lo stato d’ansia, l’insonnia, la depressione, i disturbi del carattere e del comportamento.
E’ sufficiente il compimento di un unico atto, ed è sufficiente il dolo generico (cioè la semplice coscienza e volontà di usare il mezzo di correzione o di disciplina sapendo che si tratta di abuso consapevole ).
La pena è aggravata nel caso in cui, dall’abuso dei mezzi di correzione o disciplina, alla persona offesa derivi una non voluta lesione personale o la morte.
Giurisprudenza:
La maestra che usa metodi educativi eccessivi va condannata – Cassazione Penale, sezione VI, sentenza del 27 febbraio 2020, n. 7969;
In tema di reati contro la famiglia, non può ritenersi lecito l’uso sistematico da parte del genitore di violenza fisica e morale, come ordinario trattamento del figlio minore, anche se sorretto da “animus corrigendi”, integrando in tal caso il più grave reato di maltrattamenti in famiglia e non quello di abuso dei mezzi di correzione. Né tali comportamenti maltrattanti possono ritenersi compatibili e giustificabili con un intento correttivo ed educativo proprio della concezione culturale di cui l’agente è portatore – Cassazione Penale, sezione VI, sentenza 2 luglio 2019, n. 36832;
Deve escludersi che sia la finalità educativa ad animare gli atti abituali di violenza posti in essere nei confronti dei figli minori ex art. 571 c.p., poiché questi devono ritenersi oggettivamente esclusi dalla fattispecie dell’abuso dei mezzi di correzione, dovendo valutarsi tali solo quelli per loro natura a ciò deputati, che tradiscono l’importante e delicata funzione educativa – Cassazione Penale, sezione VI, sentenza 28 febbraio 2019, n. 26366;
L’elemento materiale del reato di abuso dei mezzi di correzione richiede un abuso inteso come eccesso nell’uso di mezzi giuridicamente leciti (nella specie, la Corte ha escluso la responsabilità di una insegnante che aveva trattenuto per un braccio una bambina per sottrarla alle possibili aggressioni dei compagni di scuola, atteso che tale condotta era evidentemente finalizzata a preservare l’incolumità della piccola alunna mentre non rilevava, nei termini della realizzazione dell’elemento materiale del reato, quella incapacità a gestire situazioni di conflitto all’interno della classe sulla base della quale la Corte d’Appello aveva fondato il giudizio di responsabilità penale per il reato de quo) – Cassazione Penale, sezione VI, sentenza 11 aprile 2018, n. 20236;