L’assegno divorzile non è diretto ad assicurare al coniuge economicamente più debole l’agiatezza goduta nel corso della via matrimoniale, ma a compensare l’investimento compiuto nel progetto matrimoniale medesimo.
Nel caso di specie,la Corte osserva che il matrimonio, per quanto di lunga durata, è stato contratto quando entrambi i coniugi erano avanti negli anni: il marito cinquantenne e la moglie quasi quarantenne. Entrambi venivano da precedenti matrimoni, da cui erano nati dei figli, senza però avere figli in comune. Entrambe le parti quindi nell’intraprendere la nuova vita matrimoniale avevano già operato le proprie scelte professionali e la loro posizione patrimoniale si era già formata e consolidata. Di conseguenza il matrimonio non ha peggiorato in alcun modo le prospettive lavorative e reddituali della donna, la quale, tra l’altro, non ha provato in sede di giudizio di aver contribuito significativamente, in qualche modo, alla vita della famiglia. Ma anzi, ha tratto vantaggio proprio dal matrimonio in quanto ha goduto di un altissimo tenore di vita in virtù delle costanti contribuzioni del marito.
Infine, osservano i giudici di merito, l’assegno non può esser comunque riconosciuto neppure in funzione solo assistenziale, prescindendo quindi dalla funzione perequativo-compensativa, inoperante nel caso in esame, poichè la donna è economicamente autosufficiente, per quanto deteriore sia la sua posizione rispetto a quella dell’ex marito. Se così non fosse, l’assegno divorzile allora finirebbe per assumere proprio quel “carattere locupletatorio stigmatizzato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione” (sentenza n. 18287/2018).
Corte d’Appello di Napoli 10 gennaio 2019 n. 52