Nella fecondazione eterologa, dopo l’impianto dell’embrione, il marito non può revocare il consenso in precedenza prestato e non riconoscere quindi il figlio.
Lo afferma la Cassazione con la sentenza n. 30294/17.
Nel caso concreto una coppia in cui il marito era affetto da impotentia generandi si era recata in Spagna per procedere all’impianto embrionale all’epoca vietato in Italia (con la sentenza n. 162/2014 la Corte Costituzionale ha poi dichiarato l’incostituzionalità del divieto di fecondazione eterologa, in caso di sterilità o infertilità assolute e irreversibili). Tenuto conto delle sentenze della Consulta (151/2009 e 229/2015) secondo cui se fosse consentito revocare il proprio consenso, anche in un momento successivo alla fecondazione dell’ovulo, ciò non sarebbe compatibile con la tutela costituzionale degli embrioni, e dell’altra sentenza della Consulta (n. 347/1998) secondo cui l’attribuzione dell’azione di disconoscimento al marito, anche quando abbia prestato assenso alla fecondazione eterologa, priverebbe il nato di una delle due figure genitoriali e del connesso rapporto affettivo e assistenziale, vista l’impossibilità di accertare la reale paternità a fronte dell’impiego di seme di provenienza ignota, la Corte di Cassazione ha quindi rigettato l’azione di disconoscimento del padre verso il figlio, compensando le spese tra le parti.