Parte ricorrente ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Catania con la quale era stata condannata al risarcimento dei danni derivanti dai reati ex artt. 615-ter e 594 c.p.. L’imputata si era, infatti, introdotta nella casella di posta elettronica dell’ex marito (della quale conosceva la password) modificando le credenziali di accesso e la domanda di recupero e impedendo così all’ex coniuge, titolare della casella, di fruire del servizio.
Secondo la Suprema Corte, nel caso in esame, la circostanza che la ricorrente fosse a conoscenza della password di accesso al sistema informatico non esclude il carattere abusivo dei due accessi da lei effettuati, in considerazione anche del cambiamento delle credenziali d’accesso e dell’impostazione di una nuova domanda di recupero.
Correttamente, quindi, la Corte territoriale, evidenziando come gli accessi abusivi avessero temporaneamente escluso l’exmarito dal fruire del servizio di posta elettronica, ha ritenuto «pienamente provato il superamento da parte dell’imputata dei limiti intrinseci connessi con la conoscenza della password». Secondo l’orientamento dominante della giurisprudenza di legittimità, infatti, integra la fattispecie criminosa di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico protetto la condotta di accesso o di mantenimento nel sistema posta in essere da un soggetto che, pur essendo abilitato, violi le condizioni e i limiti risultanti dal complesso delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema per delimitarne oggettivamente l’accesso (cfr. Cass. pen., S.U., 27 ottobre 2011, n. 4694).
Poiché certamente non può ritenersi rispettosa delle regole dettate dal titolare della casella di posta elettronica la condotta di chi utilizza la password (anche se ottenuta con il consenso del titolare) per modificarla indebitamente impedendo a quest’ultimo di accedervi, la Cassazione rigetta il ricorso ai fini civili con riferimento al reato ex art. 615-terc.p..
fonte: ilfamiliarista.it