Al fine di ottenere la rettificazione del sesso nei registri dello stato civile, l’intervento chirurgico demolitorio-modificativo dei caratteri sessuali anatomici primari non è obbligatorio o necessario, ma può essere autorizzato laddove la divergenza tra il sesso anatomico e la psicosessualità sia tale da determinare un atteggiamento conflittuale e di rifiuto della propria anatomia. Il trattamento chirurgico, cioè, non si pone come prerequisito per accedere al procedimento di rettificazione del sesso, ma come possibile mezzo, funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico del soggetto.
Lo afferma il Tribunale di Pordenone con la sentenza 362/2017.