i criteri per l’individuazione del cognome del minore riconosciuto in tempi diversi dai genitori «si pongono in funzione del suo interesse, che è quello di evitare un danno alla sua identità personale, intesa anche come proiezione della sua persona sociale» (v. da ultimo Cass. n. 12640/2015). La scelta del giudice è, pertanto, ampiamente discrezionale, priva di qualsiasi automaticità e non può essere condizionata dal favor per il patronimico o per un prevalente rilievo alla prima attribuzione.
La Cassazione chiarisce, infatti, che il diritto al nome è uno dei diritti fondamentali della persona, con copertura costituzionale assoluta. La ratio dell’art. 262 c.c., la cui violazione è stata dedotta dal ricorrente, non risiede nell’esigenza di equiparare la condizione dei figli nati fuori dal matrimonio con quella dei figli di genitori coniugati, ma in quella di garantire l’interesse del figlio alla conservazione del cognome originario nel caso in cui questo sia divenuto un autonomo segno distintivo della sua identità personale nella comunità. Il provvedimento del Giudice, quindi, contrassegnato da ampio margine di discrezionalità, è frutto di libero apprezzamento e deve essere orientato a garantire non tanto l’interesse dei genitori quanto quello del minore a essere identificato nel contesto delle relazioni sociali in cui è inserito.
Poiché, nel caso in esame, la Corte d’appello ha ritenuto, con valutazione di merito, che l’imposizione del cognome paterno avrebbe turbato profondamente il minore, considerato che dall’esito del suo ascolto è emersa la sua volontà di non sostituirlo né aggiungerlo al proprio, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.
così Cass., sez. VI civ., 11 luglio 2017, n. 17139