Se si chiede alla badante di garantire la sua presenza tutto il giorno e la notte si configura un rapporto di lavoro di natura subordinata. In sostanza, «l’assoggettamento al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro» è desumibile – secondo i giudici – «dall’obbligatorietà della prestazione, dalla necessità dell’espletamento ventiquattro ore su ventiquattro dell’attività di badante, dall’obbligo di prevedere le necessarie sostituzioni, dalla previsione di un corrispettivo fisso parametrato al numero di ore». Pertanto, in presenza di tale indiscutibile «potere direttivo, organizzativo e disciplinare» esercitato dal parente della persona assistita, non può che riconoscersi l’esistenza di un contratto di lavoro subordinato a tempo pieno. La badante ha così diritto a chiedere, fino a cinque anni dalla cessazione del rapporto, tutte le differenze retributive, i relativi contributi e il trattamento di fine rapporto.
Lo afferma la Cassazione con l’ordinanza n. 8883/2017 con cui ha condannato la figlia di un’anziana disabile a versare all’ex badante la ragguardevole cifra di 34 mila euro a titolo di differenze tra le somme già pagate e quelle che, invece, il Ccnl prevede per i dipendenti subordinati full time.