La pensione di reversibilità spetta anche al coniuge separato quando l’iscrizione del dante causa (coniuge lavoratore) all’ente previdenziale sia antecedente alla sentenza di separazione.
Nonostante gli enti previdenziali sovente richiedano quale ulteriore requisito l’assenza di addebito o il riconoscimento dell’assegno alimentare, la giurisprudenza equipara il coniuge separato con addebito al coniuge superstite riconducendo entrambe le fattispecie alla disciplina dell’art. 22 L. n. 903/1965, che prevede quale unico requisito per la reversibilità la sussistenza del rapporto coniugale con il pensionato defunto.
La misura della pensione di reversibilità è pari al 60% della pensione percepita dal pensionato deceduto. Se oltre al coniuge vi sono uno o più figli beneficiari, la pensione viene corrisposta, rispettivamente, nella misura dell’80% e del 100%. Qualora il beneficiario sia titolare anche di altri redditi, tuttavia, l’assegno di reversibilità subisce una riduzione pari al 25% per reddito superiore al triplo della pensione minima, al 40% per reddito superiore al quadruplo della pensione minima e al 50% per reddito superiore al quintuplo della pensione minima, così come stabilito dall’art. 1 c. 41 L. n. 335/1995; l’incumulabilità, tuttavia, non si applica in presenza di beneficiari appartenenti al medesimo nucleo familiare.
Infine, il beneficiario della pensione di reversibilità che sia già titolare di un assegno sociale o pensione sociale, perde il diritto alle predette prestazioni di natura assistenziale, quindi a far data dalla decorrenza della pensione di reversibilità, esse vengono revocate.