Se il figlio adolescente «trascurato» dal padre non lo vuole vedere, è giustificata l’interruzione degli incontri .
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2010/ 2016, consolida l’orientamento prevalente che pone la volontà del minore al centro delle decisioni relative ai conflitti genitoriali in ordine all’affidamento dei figli.
Nel caso di specie, il padre di una ragazza quindicenne sosteneva di esser stato ostacolato dalla madre nella relazione con la propria figlia e di non avere i servizi sociali, incaricati dal tribunale di gestire la situazione e favorire gli incontri, monitorato né fatto nulla in tal senso, tanto da favorire agevolare l’induzione alla negazione della figura paterna nella minore da parte della madre, responsabile di avere provocato l’interruzione degli incontri in ambiente neutrale e degli incontri di sostegno disposti dal Tribunale in sede di separazione.
Secondo la Cassazione, invece, è rilevante la volontà della figlia, ormai quindicenne, che aveva chiaramente detto di non essere disponibile a partecipare a un progetto di riavvicinamento con il padre.
Dalla relazione dei Servizi sociali, infatti, emergeva che la ragazzina aveva dichiarato di essersi sentita ferita dalla poca attenzione dedicatale dal padre il quale, nel corso degli ultimi anni, si era limitato a mandarle degli sms ed a effettuare solo alcune sporadiche telefonate.
Ne conseguiva la espressa volontà della minore che il rapporto con il papà riprendesse eventualmente solo su una base volontaristica e spontanea senza alcuna imposizione in tal senso da parte di tribunali o servizi sociali.
La figlia, in sostanza, desiderava e aspettava una «prova di interesse sincero ed amorevole» da parte del padre.
Corretto, dunque, per gli Ermellini prevedere che i servizi monitorassero la situazione al solo fine di riprendere i contatti con il padre laddove la figlia ne avesse fatto richiesta ed offrendo, al contempo, al genitore un supporto per individuare la migliore strategia per recuperare a relazione con la figlia.
Ancora una volta, dunque, si conferma la centralità della valutazione dell’interesse del minore attraverso la valorizzazione della sua volontà e della sua capacità di autodeterminazione.
Secondo i Giudici, il diritto del minore ad «avere voce», così come sancito dalle Convezioni internazionali e dalla ormai prevalente giurisprudenza europea e nazionale, dovrebbe anche indurre il genitore ad assumersi la responsabilità di attivarsi per recuperare l’affetto del figlio che, a maggior ragione se adolescente, ha chiaramente manifestato tale desiderio e tale aspettativa.