L’Italia è stata condannata dalla CEDU per violazione dell’art. 8 in combinato disposto con l’art. 14 CEDU a causa del rifiuto di rilasciare un permesso di soggiorno per motivi familiari al convivente neozelandese di una coppia omosessuale stabilmente convivente in Italia. (sentenza 30 giugno 2016 – AFFAIRE TADDEUCCI ET McCALL c. ITALIE)
L’italia ha violato il diritto dei ricorrenti e li ha discriminati in base all’orientamento sessuale avendoli trattati, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno, come una coppia eterosessuale, che, pur potendo, non ha regolarizzato la propria situazione. Ai fini del rilascio del permesso, lo status di “membro della famiglia” può essere riconosciuto dal diritto nazionale solo ai “coniugi” e non anche ai conviventi. Tuttavia, secondo la Corte, la situazione dei ricorrenti non può essere considerata simile a quella di una coppia eterosessuale, poiché la coppia same-sex non ha in Italia, la possibilità di sposarsi. Dunque, un’interpretazione restrittiva del concetto di “membro della famiglia” rappresenta per le coppie omosessuali un ostacolo insuperabile per una concessione di questo tipo. In tali situazioni non è possibile ottenere una modalità di riconoscimento giuridico diverso dal matrimonio, dal momento che, all’epoca dei fatti, il sistema italiano non prevedeva per le coppie dello stesso sesso o eterosessuali, impegnate in una relazione stabile, la possibilità di accedere ad un’unione civile o ad un partenariato registrato attestante la condizione. Non aver applicato un trattamento differenziato non è giustificabile neanche ai sensi dell’art. 14 CEDU, poiché sebbene la protezione della famiglia tradizionale possa costituire un obiettivo legittimo ai sensi di tale norma, la Corte ritiene che la concessione di un permesso di soggiorno per motivi familiari a un partner straniero gay non può rappresentare un motivo “particolarmente forte e convincente” da giustificare, nelle circostanze del caso di specie, la discriminazione basata sull’orientamento sessuale.
Si segnala che il Ministero degli Interni, con una circolare del 5 agosto 2016, ha chiarito che, con l’entrata in vigore della legge sulle unioni civili è estesa alle coppie dello stesso sesso unite civilmente la normativa in materia di ricongiungimento familiare(art. 29) e permesso di soggiorno (art. 30) per motivi familiari, contenuta nel cd. T.U. Immigrazione (d. lgs. n. 286/1998). Quindi lo straniero che regolarmente soggiorna in Italia potrà chiedere il nulla osta al ricongiungimento familiare di cui all’art. 29 e ss. d. lgs. n. 286/1998 a favore del partner unito civilmente purché maggiorenne e non legalmente separato. Restano in vigore le disposizioni dell’art. 29 bis l. cit. per gli stranieri, titolari dello status di rifugiato o del permesso di soggiorno per protezione sussidiaria, uniti civilmente.
La documentazione comprovante l’unione civile – costituita in Italia o all’estero – sarà prodotta alla Rappresentanza Diplomatica o Consolare Italiana competente che, una volta verificata l’autenticità della stessa, procederà al rilascio del visto di ingresso per motivi familiari.