Il trust autodichiarato (o sham trust), il cui tratto distintivo è integrato dalla riunione del settlor, del trustee e del beneficiario nella medesima persona, travalica i limiti di ammissibilità configurati dall’art. 2 L. 364/89.
Presupposto coessenziale alla natura dell’istituto del trust è che il disponente perda la disponibilità di quanto conferitovi, al di là di determinati poteri che possano competergli in base alle norme costitutive. Tale condizione è ineludibile al punto che, ove risulti che la perdita del controllo dei beni da parte del disponente sia solo apparente, il trust è nullo e non produce l’effetto segregativo che gli è proprio.
L’art. 2740 c.c. – norma derogabile solo dalla legge, non già dalla volontà delle parti – recante il regime della responsabilità patrimoniale del debitore in caso di inadempimento e, dunque, coessenziale alla protezione dei creditori in caso di insolvibilità del debitore, assoggettando alla garanzia patrimoniale generica tutti i beni presenti e futuri di quest’ultimo, coesiste con l’istituto del trust sempre che il negozio istitutivo, combinando gli effetti reali della segregazione con la peculiare finalità impressa all’atto traslativo, non rechi compresenti gli elementi strutturali della preordinata sottrazione dei beni vincolati alla garanzia patrimoniale generica, sì da risultare obiettivamente asservito alla funzione esclusiva di vanificare l’aggressione dei creditori istituendo un’artificiosa apparenza di spoliazione del patrimonio, che rimane di contro saldamente sotto il controllo del debitore.
Incorre nella violazione dell’art. 28, comma 1°, l. 89/13 il notaio rogante il trust autodichiarato, di talché il giudice, nel dichiararne la nullità, è tenuto a disporre la trasmissione degli atti al competente Consiglio Notarile.