Ha diritto all’assegno di mantenimento la moglie che trova lavoro ma percepisce un reddito che non le consente di conservare il tenore di vita goduto durante il rapporto matrimoniale.
Lo afferma la Cassazione con l’ordinanza n. 6433/2016 rigettando il ricorso dell’ex marito contro la sentenza che ai fini del riconoscimento e della determinazione dell’assegno non aveva tenuto conto della capacità lavorativa della ex moglie, comprovata dalla giovane età e dalla titolarità di un impiego retribuito, né della sua possibilità di aspirare ad un’occupazione più adeguata alle sue esigenze economiche, trascurando inoltre la breve durata del rapporto coniugale, che aveva impedito la maturazione di aspettative in ordine al mantenimento di un elevato standard di vita.
La Cassazione rigetta il ricorso ritenendo corretto orientamento dei giudici di merito, che trova fondamento nella giurisprudenza consolidata, secondo cui ai fini del riconoscimento del diritto all’assegno, “nell’ambito del relativo accertamento distingue due fasi, la prima diretta a verificare l’esistenza del diritto in astratto, in relazione all’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto, e la seconda volta alla determinazione in concreto dell’assegno, sulla base delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione e del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, nonché del reddito di entrambi, da valutarsi anche in rapporto alla durata del matrimonio”.
E’ stata correttamente accertata che la moglie,pur avendo trovato lavoro, percepiva una retribuzione che non le consentiva “di mantenere un tenore di vita comparabile a quello goduto nel corso della convivenza”, né peraltro che la stessa, in conseguenza dell’età e della crisi economica poteva essere in grado di trovare un’occupazione più adeguata.
Ciò in piena conformità al principio più volte ribadito dalla S.C. secondo cui “la mera attitudine al lavoro del coniuge che richiede l’assegno non è sufficiente, se valutata in modo ipotetico ed astratto, a dimostrare il possesso di un’effettiva capacità reddituale, dovendosi tener conto delle concrete prospettive occupazionali connesse a fattori di carattere individuale ed alla situazione ambientale, nonché delle reali opportunità offerte dalla congiuntura economico-sociale in atto” (cfr., tra le altre, Cass. n. 21670/2015).
A nulla vale poi che il matrimonio fosse durato poco poichè la funzione eminentemente assistenziale dell’assegno, volto a tutelare il coniuge economicamente più debole “esclude la possibilità di negarne l’attribuzione in virtù della breve durata della convivenza, la quale può venire in considerazione, in concorso con altri elementi, esclusivamente ai fini della commisurazione del relativo importo”.