Non ha diritto alla restituzione delle somme versate per il canone di locazione dell’appartamento destinato a casa familiare il convivente che non ha mai fatto fronte alle altre spese, , tra le quali vitto e pagamento della collaboratrice domestica, essendo in questo caso proporzionale il contributo di ciascuno rispetto alle reciproche condizioni economiche. Infatti «in tema di unioni di fatto, è possibile configurare l’ingiustizia dell’arricchimento da parte di un convivente more uxorio nei confronti dell’altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza – il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto – e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza».
Lo sancisce la sentenza 11850/2015 del tribunale di Milano.
Nel caso di specie viene rigettato il ricorso di un uomo nei confronti dell’ex convivente volto a ottenere la condanna della donna al pagamento della somma di 18.896,55 euro, corrispondente alla quota del 50 per cento di sua competenza per canoni di locazione, e di quella di 13.824,76 euro, a titolo di rimborso della quota di pertinenza relativa alle spese di ristrutturazione dell’immobile da lui sostenute. Il fatto che la donna abbia stipulato, insieme all’ex, il contratto di locazione relativo all’immobile in cui hanno convissuto insieme al figlio della donna e da entrambi sottoscritto e la scrittura privata con la quale si sono accordati con la proprietà relativamente alla ripartizione dei costi di ristrutturazione dell’appartamento non vale a dar ragione alla richiesta di pagamento dell’uomo: «con gli anzidetti contratti le parti hanno inteso regolare i rapporti con la proprietà, rendendosi solidalmente responsabili nei confronti della prima degli obblighi nascenti dai contratti. Viceversa, tali scritture contrattuali non regolano i rapporti interni tra i conviventi relativamente alle ripartizione degli obblighi nascenti dai contratti».