Basta l’amministratore di sostegno e non serve l’interdizione per la persona psicologicamente fragile, anche se già vittima di un tentativo di circonvenzione sfociato in un procedimento penale: il rifiuto dell’interessata che non voglia più nessuno che si occupi dei suoi affari non osta alla nomina dell’Ads né impone l’interdizione. E ciò perché l’ipotesi del conflitto tra beneficiario e ads è prevista dagli articoli 410 e 413 Cc, che consente al beneficiario di rivolgere al giudice tutelare di decidere eventuali contrasti. Lo afferma l’ordinanza 2345/16, pubblicata il 5 febbraio dalla sesta sezione civile della Cassazione.
Confermata l’amministrazione di sostegno per una signora che ha già conferito una procura generale per la cura dei suoi interessi a un terzo “imbroglione”, contro il quale è avviato un procedimento penale per il reato ex articolo 643 Cp (circonvenzione di incapace). Adesso la donna che non ha capito di aver rischiato il suo patrimonio non vuole affidare nuovamente a terzi la gestione dei suoi interessi. Ma non occorre l’interdizione: ciò che fa propendere i giudici per l’Ads, infatti, non è il maggiore o minore grado di capacità della persone carente di autonomia di attendere ai propri interessi ma la maggiore flessibilità dello strumento, che consente di adeguare le procedure alle esigenze dell’interessato. La misura di mero sostegno, infatti, presuppone un continuo rapporto fra il soggetto protetto e l’amministratore di sostegno: il secondo deve informare in modo tempestivo il primo degli atti da compiere. E non risulta decisiva la (tardiva) riluttanza della signora alle interferenze esterne nella gestione dei suoi soldi laddove è lo stesso codice civile a prevedere in caso di dissenso l’intervento del giudice tutelare; quest’ultimo, peraltro, indica nel decreto di nomina gli atti che l’amministratore ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario e quelli che la persona protetta può compiere soltanto con l’assistenza del primo, ciò che conferma l’agilità della procedura.