Per l’addebito basta l’atteggiamento aggressivo consistente in minacce, ingiurie e violenze di uno dei coniugi nei confronti dell’altro, non occorrendo in questi casi una ulteriore indagine in merito all’incidenza causale di tale comportamento rispetto alla rottura del rapporto di coniugio. Legittimo, quindi, da parte della vittima abbandonare il tetto coniugale e chiedere la separazione con addebito all’altro. Infatti «in una doverosa visione evolutiva del rapporto coniugale, il giudice, per pronunciare la separazione, deve verificare l’esistenza, anche in un solo coniuge, di una condizione di disaffezione al matrimonio tale da rendere incompatibile, allo stato la convivenza. Ove tale situazione di intollerabilità di verifichi, anche rispetto ad un solo coniuge, deve ritenersi che questi abbia diritto a chiedere la separazione: con la conseguenza che la relativa domanda costituisce esercizio di un suo diritto».
Lo sancisce la sentenza 4669/15 della nona sezione civile del tribunale di Milano che ha evidenziato che «l’atto di violenza è in re ipsa fatto idoneo a determinare o aggravare l’intollerabilità della convivenza, sicché esso consente in definitiva di ritenere provato, ex se, il nesso causale tra la violazione del dovere coniugale di assistenza e solidarietà tra i coniugi».
Nel caso di specie la donna era vittima di aggressioni e di soprusi di natura psicologica : ad esempio, c’erano molti messaggi minatori inviateli dal marito tanto da portarla ad abbandonare il tetto coniugale. Varie anche le testimonianze dei vicini che raccontano di liti continue con atteggiamenti violenti da parte dell’uomo che, in una occasione, ha persino sbattuto fuori casa la donna seminuda. Atteggiamenti idonei ad accertare come, durante il matrimonio, il marito si sia reso protagonista di manifestazioni di aggressività fortemente lesive della dignità della donna. Corretto quindi addebitare la separazione al marito.