Il coniuge tradito ha diritto al risarcimento del danno non patrimoniale, ma solo se prova che, a causa dell’infedeltà, “si è ammalato”. Lo afferma il Tribunale di Bari con la sentenza 4577/14, rigettando la domanda di risarcimento svolta da maglie nei confronti del marito.
Nel caso di specie, la donna chiedeva il risarcimento dei danni non patrimoniali subiti a causa dell’improvviso abbandono e dal venir meno a tutti i doveri di assistenza morale e materiale da parte del marito, il quale, dopo il matrimonio, approfittando del fatto di vivere da solo per ragioni di lavoro, aveva intrattenuto una stabile relazione con un’altra donna. Il tradimento era stato la causa della separazione.
Il Tribunale richiama in primo luogo la recente giurisprudenza in materia di “danni endo-familiari” secondo la quale «i doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio hanno natura giuridica e la loro violazione non trova necessariamente sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, quale l’addebito della separazione, discendendo dalla natura giuridica degli obblighi suddetti che la relativa violazione, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi dell’illecito civile e dare luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’articolo 2059 Cc, senza che la mancanza di pronuncia di addebito in sede di separazione sia a questa preclusiva». Vertendosi nell’ambito di un illecito civile e dunque di responsabilità aquiliana, «è onere del coniuge che si ritenga danneggiato fornire la prova degli elementi costitutivi di tale responsabilità a carico dell’altro coniuge».
La donna non aveva provato come l’«improvvisa sensazione» di non potere più realizzare col marito un progetto di vita comune fosse sfociata in una vera e propria patologia. Non risultano agli atti accertamenti clinici in merito e i testimoni avevano riferito solo la scelta della donna di isolarsi, rifiutando di incontrare gli amici e di farsi assistere da loro.