Commette stalking l’ex che, davanti alla vittima, minaccia il suicidio.
Lo afferma la quinta sezione penale della Cassazione con la sentenza 48690/14, rigettando il ricorso di un uomo, condannato dalla Corte d’appello di Torino, perché responsabile del reato di stalking ai danni di una ex.
La condotta consisteva in messaggi, telefonate e appostamenti nei luoghi frequentati dalla vittima. Oltre a tre presunti tentativi di suicidio, per cercare di convincerla a non lasciarlo, e dandole la colpa per il suo gesto estremo. A nulla rileva cha il comportamento persecutorio sia durata poco più di una settimana.
Alla persona offesa venne cagionato un «perdurante e grave stato di ansia e di paura, e che la stessa fu al contempo costretta ad alterare le proprie abitudini quotidiane; l’ipotesi accusatoria è che pertanto la donna venne a subire due degli eventi di danno previsti dalla norma incriminatrice, fermo restando che, ai fini della configurabilità del delitto di atti persecutori, deve intendersi sufficiente che se ne produca anche uno soltanto». La Cassazione afferma che «integrano il delitto di atti persecutori di cui all’articolo 612 bis Cp anche due sole condotte di minaccia o di molestia, come tali idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice e la sentenza impugnata dà ampiamente contezza dell’iterazione dei comportamenti posti in essere dall’uomo, sia pure in un assai breve lasso di tempo, sottolineandone in particolare la valenza intrinsecamente finalizzata a cagionare nella persona offesa uno stato di grave ansia. Stato che può senz’altro derivare dalla prospettazione di A a B della volontà di uccidersi, facendo in modo il primo che B assista a gesti di valenza autolesiva, dei quali lo stesso B venga indicato come moralmente responsabile e con tanto di proclama da parte di A del disegno di tentare nuovamente di togliersi la vita».
La persona offesa, infatti, venne a trovarsi «profondamente turbata sul piano psicologico dalle assillanti condotte del ricorrente, soprattutto a causa del gesto di tagliarsi le vene che l’imputato realizzò più volte al cospetto di lei: tali gesti furono obiettivamente idonei a porre la donna in una condizione di elevata pressione psicologica».