Negata l’autorizzazione al trasferimento all’estero alla madre straniera, collocataria di un minore in affido condiviso, anche se tramite Internet sarebbe facile conservare i rapporti col padre.
A nulla vale il fatto che nel proprio Paese d’origine la madre avrebbe più opportunità lavorative: l’esercizio dei diritti e delle libertà fondamentali di ciascuno dei genitori, garantiti anche dalla Costituzione, possono subire delle «temporanee e proporzionate limitazioni» rispetto agli interessi del minore.
Lo afferma la Cassazione con la sentenza 19694/14, respingendo il ricorso di una donna inglese contro la decisione della Corte d’appello di Trento che aveva negato il trasferimento del figlio con lei in Inghilterra.
Secondo la donna, il trasferimento le avrebbe offerto più occasioni lavorative che le avrebbero, di conseguenza garantito un reddito e una vita più dignitosa; inoltre, in Inghilterra avrebbe usufruito di un alloggio presso la madre. Tutto ciò anche a vantaggio del figlio minore.
Ma gli Ermellini ritengono che «la compressione del diritto della ricorrente all’allontanamento dall’Italia e al ristabilimento della sua residenza nel paese di origine, con apprezzabili e apprezzate conseguenze per lei positive in ambito personale, affettivo, alloggiativo e lavorativo, si rivela legittimamente dipesa dalla valorizzazione del preminente interesse del figlio all’evoluzione positiva della sua personalità psico-fisica, previa enucleazione delle ragioni di rischio di pregiudizio di essa, connesse all’eventuale attuazione dell’iniziativa materna di espatrio, plausibilmente desunte, pur nella vigenza del regime di affido condiviso del bambino, dall’alta conflittualità esistita tra i genitori, dalla tenera età del bambino, dotato di limitate competenze linguistiche, dal favorevole ma non ancora stabilizzato esito degli interventi di sostegno familiare attuati dai servizi sociali italiani, ma anche dai problematici, risalenti aspetti della personalità materna, quali emersi dalla espletata Ctu, dati oggettivi che, considerati nel loro complesso e alla luce dell’importanza del ruolo paterno e nel caso della vicinanza pure fisica dell’uomo per la crescita equilibrata del figlio, sono stati, con riguardo anche alle altre specificità del contesto, giustamente ritenuti oltre che insuscettibili di essere superati tramite la mera rimodulazione delle modalità di comunicazione, contatti e frequentazioni tra il medesimo e il minore, anche ostativi alla concessione della chiesta autorizzazione».