La responsabilità genitoriale, declinata secondo gli obblighi specificati dagli artt. 147 e 148 c.c., di diretta derivazione costituzionale (artt. 2 e 30 Cost.) sorge al momento della nascita del figlio, discende dal mero fatto della procreazione e non cessa per effetto della separazione o della cessazione degli effetti civili del matrimonio. Il genitore che abbandona consapevolmente i figli viola i doveri che nascono dal rapporto di filiazione e commette quindi un illecito endofamiliare da cui deriva l’obbligo di risarcimento del danno non patrimoniale ex artt. 2043 e 2059 c.c. derivante dalla lesione del diritto alla qualità di figlio, rientrante nel novero dei diritti costituzionalmente garantiti.
Il risarcimento del danno non è tuttavia automatico, ma è necessario che la condotta del genitore abbia prodotto un danno ingiusto da perdita, privazione e preclusione, inquadrabile nella categoria del danno non patrimoniale di natura esistenziale. Nessun rilievo ha, invece, la circostanza che la condotta genitoriale non abbia prodotto nel figlio anche un danno (biologico) alla salute apprezzabile in termini di malattia.
Il danno non patrimoniale derivante da illecito endofamiliare essendo riconnesso alla lesione del diritto alla qualità di figlio, valore inerente la persona, deve essere liquidato in via equitativa ex artt. 1226 e 2056 c.c.
La mancata corresponsione del contributo di mantenimento del figlio alla madre, in assenza di postulati e comprovati pregiudizi economici ulteriori rispetto alla sola omissione, non consente al figlio di attivare la tutela risarcitoria atipica prevista dall’art. 2043 c.c. Nella prima fase di vita e sino alla maggiore età del figlio, l’unico soggetto legittimato ad agire giudizialmente per ottenere il pagamento del contributo è la madre tramite lo strumento tipico del sistema penale e civile.
Lo afferma il Tribunale di Torino con la sentenza del 5 giugno 2014.