Il regime di affidamento condiviso pone un notevole limite al diritto costituzionale sussistente in capo a chiunque di fissare la propria residenza in qualunque parte del territorio nazionale, o all’estero, limite costituito dal prioritario e superiore interesse del minore alla bigenitorialità. Non soltanto, quindi, al giudice è rimessa la facoltà di assumere le determinazioni più idonee – anche di carattere patrimoniale – qualora il cambio di residenza implichi un mutamento delle modalità di affidamento, ma soprattutto è al medesimo rimessa la valutazione di eventuale contrasto tra l’intenzione di trasferimento manifestata (o unilateralmente attuata) dal genitore e l’interesse del minore. Pertanto, pur non costituendo, di per sé, la lontananza tra le abitazioni dei genitori (pur se determinata da trasferimento unilateralmente effettuato) un fattore ostativo alla conservazione del regime di affidamento condiviso, compito del giudice è, in ogni caso, procedere ad un contemperamento tra due diritti costituzionalmente garantiti, ed ugualmente degni di tutela: quello del minore alla bigenitorialità e quello del genitore a trasferirsi in città o Stato diversi da quelli in cui si è svolta la vita familiare, fermo restando che, ove il mutamento di residenza si prospetti, in concreto, di estremo pregiudizio nei confronti del minore, sradicandolo da vincoli affettivi, ambientali e scolastici ormai profondamente acquisiti, il giudice potrà legittimamente condizionare il mantenimento dell’affidamento della prole alla rinunzia al trasferimento.
Trib. Monza, sentenza 23 novembre n. 2667
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