Caso frequente: durante il matrimonio, i coniugi realizzano sul fondo di proprietà di uno dei due un’abitazione, impiegando denaro anche dell’altro. Intervenuta la crisi, il coniuge non proprietario del suolo rivendica il diritto alla comproprietà della casa o alla restituzione del denaro impiegato per la realizzazione.
La Cassazione, con la sentenza n. 13063 del 30 maggio 2013, ribadisce il proprio costante orientamento:
la costruzione realizzata durante il matrimonio da entrambi i coniugi, sul suolo di proprietà personale ed esclusiva di uno di essi, appartiene esclusivamente a quest’ultimo in virtù delle disposizioni generali in materia di accessione e pertanto non costituisca oggetto di comunione legale ai sensi dell’art. 177, comma I lett. a) c.c.; in queste ipotesi, la tutela del coniuge non proprietario del suolo, non opera perciò sul piano del diritto reale, ma su quello obbligatorio del diritto di ripetere nei confronti dell’altro coniuge le spese affrontate per la costruzione medesima. In altre parole, sorge soltanto un diritto di credito in favore dell’altro coniuge della stessa comunione.
A tale debito/credito è riconosciuta natura di debito di valore, e non di valuta: esso va commisurato, ex art. 936 c.c., al valore dei materiali e al prezzo della mano d’opera oppure all’aumento di valore che al fondo ne è conseguito, al momento in cui si è verificata l’accessione.